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In questi file sono riportati i testi di Martini e di altri autori proposti per questa Unità.

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Introduzione
La prima dimensione del dialogo non dovrebbe avvenire con chi ci circonda, ma con se stessi, con la nostra interiorità. Spesso però è proprio questa dimensione che crea più difficoltà. Il restare con se stessi in maniera serena implica saper ascoltare quanto ci abita e saperci dialogare.
Il titolo vuole sottolineare la duplicità della pratica di restare con se stessi o, se si vuole dirla in altro modo, di “fare o restare silenzio”. È allora necessaria una precisazione lessicale per aiutare i ragazzi a esplorare questa dimensione.
Per solitudine intendiamo indicare la buona pratica di passare del tempo in disparte, in silenzio ma in maniera attiva, da protagonisti di questo tempo, in vero ascolto delle tensioni e questioni che abitano ciascuno di noi, nella prospettiva di “tornare” nel mondo affollato con una consapevolezza maggiore. Un movimento quindi che potrebbe assomigliare al ritmo sistole/diastole del nostro cuore; raccogliere per poi rilasciare e ricominciare così nuovamente la pulsazione che può ben rappresentare il dialogo.
Con isolamento invece facciamo riferimento alla pratica di autoesclusione di chi non vuole più partecipare alla vita sociale (in toto o in parte), rinchiudendosi in un luogo – sia esso fisico o psicologico – senza altre persone, nel quale il silenzio è un muro non solo di protezione dal resto del mondo, ma anche di auto-costrizione, di imprigionamento. L’isolamento quindi prevede un movimento in una sola direzione, quella dell’allontanamento da sé e dagli altri.
Questa isola è quindi dedicata alla dimensione del silenzio personale. L’argomento non è facile e potrebbe essere utile tenere sottotraccia la tematica anche durante la navigazione verso le altre isole.
Per introdursi alla complessità tematica suggeriamo la lettura propedeutica di S. Chialà, Silenzi, ed. Qiqajon, 2010, al quale si è attinto per la riflessione qui proposta.
N.B. In caso di situazioni particolarmente delicate all’interno del gruppo classe raccomandiamo di rivolgersi a specialisti del settore psicologico.
L’attività di questa isola è organizzata in maniera contrastiva e vorrebbe essere particolarmente coinvolgente anche dal punto di vista fisico, aiutando gli studenti a sperimentare il silenzio e la sua assenza.
Per questo motivo si consiglia anche di collaborare con i colleghi di scienze motorie.
Note tecniche
Per riprodurre i brani, in caso di mancanza di amplificatori, è possibile chiedere ai ragazzi di portare a scuola una cassa audio bluetooth, che garantirà l’amplificazione necessaria e renderà ancora più partecipi gli studenti.
Attenzione agli annunci pubblicitari su youtube. Il consiglio è quello di precaricare le pagine e predisporre i video al minuto 00.01 pronti all’uso.
Per comodità è stata creata una playlist con tutti i video in ordine, disponibile qui sotto
Playlist Video
Attività
In un ambiente ampio – possibilmente una palestra o simili – si fanno entrare i ragazzi, senza nessuna introduzione o commento, chiedendo solo di sedersi distanti tra loro alla fine del brano.
Con una amplificazione ad un volume molto alto si riproduce un brano molto ritmato (suggeriamo Shye Ben Tzur, Jonny Greenwood & The Rajasthan Express – Roked), lasciando la possibilità ai ragazzi di muoversi liberamente nello spazio, ballando o facendo ciò che desiderano.
Terminata la musica i ragazzi si dovrebbero ritrovare seduti sparsi (e forse un po’ spaesati) nell’ambiente.
Un giro di condivisione su quanto appena provato: conoscevi il brano? Quali sensazioni? Quanto il ritmo del brano è stato coinvolgente? Appena i ragazzi stanno iniziando a condividere, l’insegnante fa partire la riproduzione di un rumore di fondo ad alto volume (ad es. Supermarket Sound Effects oppure Busy Restaurant Sound Effects). L’ideale sarebbe riuscire ad impedire la comunicazione tra gli studenti, per l’assenza di ciò che permette di capire l’altro: il silenzio. Per arrivare così al tema dell’UDA.
A questo punto, sempre lasciando i ragazzi separati tra loro seduti per terra – oppure provvedendo a separarli nello spazio – si può chiedere loro cosa intendo per isolamento e solitudine, avendo la cura di far emergere le differenze segnalate in precedenza, e di descrivere delle situazioni di isolamento o solitudine.
L’esperienza di ciascuno diventa ora protagonista:
- In che occasioni ha ricercato la solitudine? Perché? Con che esiti?
- In che occasione hai ricercato l’isolamento? Perché? Con che esiti?
- Ulteriore passo potrebbe essere quello di riflettere su come il silenzio sia una parte fondamentale di entrambe le situazioni. Suggeriamo alcune domande guida:
- Quanti tipi di silenzio esistono?
- Quali hai sperimentato?
- È possibile essere attivi nel silenzio?
- È mai capitato di “essere schiacciati” dal silenzio?
- Quando il silenzio può diventare un’arma?
- Hai mai usato quest’arma?
- Sei mai stato/a colpita/o da quest’arma?
Alla fine del dialogo, sarebbe opportuno riuscire a far emergere la complessità della definizione di silenzio e riportare gli studenti nuovamente ai loro (talvolta assai rari) momenti di silenzio e alle sensazioni provate.
- Hai mai avuto paura del silenzio? Quando? Perché?
- Hai mai avuto bisogno di silenzio? Quando? Perché?
Come ultimo passo, potrebbe essere proposto di restare in silenzio, secondo alcune pratiche che si rifanno alle esperienze di “silenzio attivo”. Per svolgere questo ultimo passo è richiesta una buona collaborazione da parte degli studenti, proprio perché creare un silenzio attivo è difficile e basta pochissimo per rovinare tutto.
Sdraiati in posizione comoda, tutti – anche uno dei docenti presente, se possibile – respirano lentamente, cercando di ascoltare il proprio respiro e chiudendo gli occhi. Viene chiesto di concentrarsi sui rumori lontani, provenienti da fuori.
A questo punto, raggiunto un silenzio intenso, si chiede di pensare a una situazione felice e a una dolorosa. Dopo circa un paio di minuti, si chiede di condividere liberamente una parola o una frase senza bisogno di nessuna spiegazione, ma che sia frutto di questo silenzio.
Si conclude l’attività mettendo in evidenza le differenze con il primo ascolto e la conseguente condivisione disturbata dal rumore.
Successivamente, a breve distanza di tempo, potrebbe essere fecondo chiedere commenti sull’attività svolta e provare a coinvolgere gli studenti in momenti di silenzio personali (ad es. a casa) o di gruppo (in classe), nelle modalità che più si ritengono opportune in base al contesto della classe.
Materiali, spunti e collegamenti interdisciplinari
Forniamo alcuni spunti per ampliare il discorso sul silenzio e sulla solitudine/isolamento.
Alcuni passi biblici in cui si pratica il silenzio
1 Re, 19,8-15 (Elia sull’Oreb); Qo 3,7; Salmo 65; Il silenzio di Dio con Giobbe; Sof 3,17; Mt 14,3-9 (Unzione di Betania); Gv 8,1-11 (La donna adultera).
Altre citazioni bibliche sul silenzio
Alcuni testi di letteratura italiana
- Petrarca, RVF XXXV (Solo et pensoso i più deserti campi) in contrapposizione a RVF CCXXXIV (O cameretta che già fosti un porto);
- Leopardi e l’esperienza del silenzio interiore e dell’isolamento, soprattutto negli Idilli e Grandi idilli e nell’infinito;
- l’isolamento di Mattia Pascal, una volta persa la sua identità.
Film
- La leggenda di Bagger Vance
- Il grande silenzio
Materiale aggiuntivo
Monastero di Bose - #Silenzio #Salmo 65
"Da diversamente abile a diversamente felice"
Segnaliamo anche, sempre inerente al tema del silenzio vissuto attivamente, l’esperienza di Federico De Rosa, scrittore autistico romano di 27 anni, che è riuscito a intessere una rete di dialogo intorno al suo motto: “Da diversamente abile a diversamente felice“.
Qui qualche materiale:
Diario di un ragazzo autistico, Federico: “L’amore lo immagino così” – la Repubblica
Federico De Rosa – Rivista Vocazioni
Libri pubblicati: Federico De Rosa – Edizioni San Paolo
Testo di Carlo Maria Martini
Il silenzio
Carlo Maria Martini, in L’Avvenire, 6 marzo 2012
Piccolo elogio del silenzio
A. Frigerio
Se ci pensiamo bene, le cose del mondo sono riconoscibili perché sono distinte le une dalle altre, separate da un intervallo, un vuoto che consente di identificarle: è questo e non quello, è una bicicletta e non una moto.
Così avviene nel linguaggio: ogni parola è dicibile e riconoscibile solo in quanto vi è un silenzio che la separa da quella che la precede e da quella che la segue.
Il suono e il silenzio si affermano l’uno in rapporto all’altro: la prima realtà del silenzio è lo stare tra suoni, è quel tra che consente di riconoscere lui e le parole che lo circondano e da cui è circondato. Perché le parole dicono ma anche nascondono, ed offuscano proprio quel silenzio che consente loro di dirci qualcosa di sensato, di comprensibile.
Immaginiamo un testo senza pause, o un discorso senza intervalli tra una parola e l’altra: ci si presenterebbe una massa informe e confusa di suoni e segni, difficilissima da decifrare ed ancor più da comprendere.
Comprendere necessita delle parole, ovviamente, ma avviene grazie ai silenzi che le distinguono. Nel silenzio risuona l’eco della parola che la precede e si vive l’attesa di quella che seguirà. Nel silenzio vibra l’attesa per qualcosa che deve ancora venire alla luce.
Il confine tra la parola e il silenzio è l’indicibile luogo che a noi è offerto per entrare nel mondo dei suoni, per avviare un discorso, per rispondere a una domanda, per porre un interrogativo, per esercitare la responsabilità di intervenire in una conversazione.
Ora il silenzio come stacco, come interruzione, come framezzo è ciò che permette di non confondere, di tenere le distanze ma anche di lasciar venire alla luce quello che mi sta dinanzi, le parole che mi vengono rivolte.
Claudio Abbado sosteneva che gli era più facile cogliere l’intensità di una emozione che una sinfonia aveva suscitato dalla durata del silenzio tra l’ultima nota suonata e l’inizio dell’applauso: è lì, in quegli istanti, che vibra la commozione negli ascoltatori, risuona la potenza emotiva della musica. Una potenza incontenibile che trova poi espressione nell’applauso. Quante volte avremmo voluto, al termine di un concerto, che quel silenzio durasse qualche attimo in più! Perché è nel silenzio che le parole risuonano e le emozioni, i sentimenti, i pensieri scendono nel profondo.
È il suono a far nascere il silenzio, e nello stesso tempo è dal silenzio che sorge il suono. E’ il suono a generare l’ascolto e nell’ascolto suono e silenzio diventano vita: la vita di un testo, di un discorso, di una dichiarazione d’amore.
È nel vuoto – che il silenzio bene rappresenta – che risuona l’anima delle cose: come in quel gioco che facevamo da bambini di portare all’orecchio un guscio vuoto di conchiglia per ascoltare il lontano suono del mare. Se i corpi sono pieni, troppo pieni, difficilmente lasciano risuonare le voci del mondo, quello che la vita vuole consegnarci.