Ricordi del Cardinale Carlo Maria Martini
La “Parola” del Cardinale Carlo Maria Martini è stata anche per me un riferimento costante e prezioso. Ho avuto modo di conoscerlo nel 1980 a Lusaka nello Zambia dove mi trovavo ospite della missione ambrosiana di Chirundu con fidanzata ed alcuni amici. Dopo di allora altri incontri sono seguiti (faceva parlare, ascoltava e domandava)… e il suo magistero, discreto nella forma e forte nella sostanza, è divenuto compagno di vita personale e familiare. La bussola che aiutava a ritrovare il percorso in particolare nei momenti di smarrimento.
Ricordo che la sue prime lettere, ” La dimensione contemplativa della vita” e cui seguì ” In principio la Parola “, sorpresero molto la comunità milanese suscitando anche perplessità; nella Milano del “fare” molti si chiedevano se avesse ben compreso il contesto dove si trovava. Il Cardinale diceva: “E’ stata la Parola per prima a rompere il silenzio, a dire il nostro nome, a dare un progetto alla nostra vita. E’ in questa parola che il nascere e il morire, l’amare e il donarsi, il lavoro e la società hanno un senso ultimo e una speranza”.
Mi trovai subito in sintonia. Prima di fare occorre sapere cosa e come fare e il sapere nella comprensione della complessa realtà è data da intuizioni che vanno oltre i limiti della ragione. Il silenzio contemplativo è il grembo che custodisce la gestazione delle parole. Le parole ci costituiscono, ci qualificano e sono la chiave per generare relazioni profonde. Aprono o chiudono il cuore al dialogo, alla reciproca comprensione. Creano o disfano affetti, famiglie e comunità. Sono semi o sassi. La stessa qualità della democrazia deriva dalle parole che vanno soppesate e ben spese.Le sue considerazioni circa i problemi della modernità sono sempre state illuminanti. Poco dopo l’arrivo a Milano scriveva: “Penso anche a vari linguaggi che si intrecciano lungo le strade, nelle case, nei luoghi di incontro, di lavoro, di studio, nei mezzi di comunicazione sociale, insomma in ogni ambito di convivenza civile di questa vivacissima, ma anche convulsa e problematica Milano degli anni ’80, con tutto il suo vasto e vario circondario geografico e sociale. Non sentiamo forse tutti quanti l’esigenza di scoprire ciò che ci unisce al di là delle divisioni; di ritrovare in una comune tradizione la spinta verso il futuro; di ricondurre i diversi e spesso contrastanti progetti di vita umana a un’immagine di uomo, che non mortifichi nulla di ciò che è bello, buono, onesto, che sia così ampia e di così vasto respiro da accogliere con rispetto anche il più piccolo contributo al vero progresso dell’uomo?”.
E fin da subito specificava che si rivolgeva non solo ai credenti, ma anche a quei fratelli e a quelle sorelle che, per vari motivi, non si sentono di condividere la vita della comunità cristiana. Le offriva come un dono e insieme come una sfida; come una promessa e insieme come un impegno.
Ora fisicamente non c’è più ma il suo lascito spirituale è una presenza, un seme, che continua a germogliare.