«Stiamo dando l’addio a un uomo buono, a un padre esemplare, a uno sposo amatissimo, a un lavoratore serio e stimato dai colleghi, benvoluto dagli amici, mite e giusto. Sorge, allora, in questo momento, più drammatica la domanda “ma perché?”». Iniziava con queste parole l’omelia che, il 30 maggio 1980, il cardinal Martini pronunciò nella chiesa di Santa Maria del Rosario a Milano durante le esequie di Walter Tobagi, il giornalista del Corriere della Sera ucciso due giorni prima dal gruppo terrorista di estrema sinistra Brigata XXVIII marzo.
Arrivato da pochi mesi a Milano, il neoarcivescovo dovette subito fare i conti con la drammatica stagione del terrorismo, un periodo che segnò profondamente l’episcopato martiniano e a cui sono dedicati un libro recente di Silvia Meroni, Carlo Maria Martini e gli anni di piombo (vai alla scheda del libro), una mostra realizzata dall’Istituto Leone XIII in collaborazione con la Fondazione Martini (vai alla mostra online) e il “percorso” sull’avvio dell’episcopato.
Anche nel nostro Archivio digitale è possibile trovare documenti e testimonianze su come Martini visse (e aiutò i milanesi a vivere) quel difficile periodo, nella costante vicinanza ai parenti delle vittime e nella ferma condanna di ogni violenza, ma al contempo promuovendo cammini di riconciliazione, come dimostrò il celebre episodio della consegna delle armi in Arcivescovado da parte di un gruppo di terroristi.
Tra i vari materiali disponibili relativi all’assassinio di Walter Tobagi, segnaliamo il messaggio inviato da Martini al Corriere della Sera, con correzioni manoscritte dell’arcivescovo, e – qui sotto – una galleria di immagini del giorno del funerale. Di seguito il testo completo dell’omelia (contenuta nel secondo volume dell’Opera omnia: Giustizia, etica e politica nella città, Bompiani 2017).
Omelia ai funerali di Walter Tobagi
Stiamo dando l’addio a un uomo buono, a un padre esemplare, a uno sposo amatissimo, a un lavoratore serio e stimato dai colleghi, benvoluto dagli amici, mite e giusto. Sorge, allora, in questo momento, più drammatica la domanda “ma perché?”. Essa nasce sul nostro cuore impaurito, così come veniva spontanea ai due discepoli di Emmaus ai quali Gesù si era unito nel cammino della sera; “Ma perché sono avvenute queste cose? Ma che senso ha tutto ciò? Come possiamo sopravvivere al fatto che il Giusto sia stato ucciso, che l’Uomo buono in opere e in parole davanti a Dio e davanti agli altri sia stato messo a morte?” (Lc 24,14-24).
Anche noi vorremmo che Walter ci aiutasse, in questo momento, a trovare una risposta che rianimasse l’animo disorientato.
Noi siamo certi nella fede – in quella comune fede che lo faceva venire a questa chiesa ancora fino a domenica scorsa alla messa delle ore 17,30 e che gli permetteva di accostarsi a questo altare per ricevere il Corpo del Signore Gesù – che egli sta camminando invisibilmente con noi, così come Gesù si accompagnò con i tristi discepoli di Emmaus che si domandavano, con il volto sconfortato, “perché, perché?”.
La prima risposta a questi perché è molto amara ed è quella stessa che Gesù nel Vangelo pronuncia nei confronti dei suoi nemici, di coloro cioè che vorranno uccidere Lui, il Giusto: “Mi hanno odiato senza ragione” (Gv 15,25).
Noi oggi comprendiamo, forse, tutta la verità di questa parola: è possibile odiare senza ragione! Non è possibile uccidere senza odiare, ma è possibile odiare senza ragione. È proprio questo enigma d’insensatezza, di follia, di vile anonimato omicida che ci rattrista tutti quanti, che ci pesa nel cuore e che ci chiuderebbe le parole in bocca se non ci fosse in noi una speranza piena d’una certezza più grande e più carica di promesse della realtà drammatica che ci sta davanti. Questa certezza ci è annunciata dalle pagine della Bibbia che abbiamo ascoltato e che sono state scelte dalla risonanza di fede della moglie e degli amici di Walter. Esse ci dicono: ciò che è insensato può acquistare un senso. Quale?
Anzitutto noi vorremmo che fosse una chiara voce a tutti coloro di cui non sappiamo il nome, ma che potrebbero ora raccogliere in qualche modo le nostre parole; a costoro senza volto diciamo che questo deve essere l’ultimo atto criminoso, che queste cose non pagano nessuno, non servono a nessuno, non aiutano nessuno. Vorremmo che queste parole le sentissero coloro che hanno premuto il grilletto, coloro che hanno armato queste altre mani, coloro che hanno offerto chissà quali motivazioni nascoste e indicibili.
Vorremmo che capissero – come pare che qualcuno cominci già a intendere – che è ora di cambiare, che ci sono altre maniere di parlare, di esprimersi, di venire allo scoperto, di mettersi in dialogo, liberamente e con coraggio, con gli argomenti, con la verità, anzi con la forza della verità stessa che mai è disgiunta da una coerente passione per l’uomo.
Vengano fuori le parole, le discussioni, i fatti, le intenzioni, nel quadro di un costume civile e democratico. Basta invece con tutto ciò che distrugge, e distrugge anche quelli stessi che giustizia, etica e politica nella città tentano di usare mezzi e vie fondati sul disprezzo dell’uomo.
Vorremmo, davvero, che la voce di questo testimone fosse per tutti voce di ragionevolezza, una ragionevolezza amorosa, insistente, protesa alla comprensione anticipatrice del futuro: “Ma perché? Ma che cosa volete ottenere?”. Anche se noi crediamo sempre nella persuasione anche di coloro dei quali non conosciamo il volto, sappiamo tuttavia che queste parole non danno tutto il senso di questa tragica vicenda.
Per questo ci soccorrono di nuovo le pagine bibliche che abbiamo letto; esse ci portano in ogni caso un senso più alto, più certo, più profondo, al quale tutti nella fede ci sentiamo e ci vogliamo legare. Questa fede che fu di Walter, è fondata sul Signore Gesù Risorto e la conferma il libro di Giobbe: “Io lo so che il mio Liberatore è vivente, alla fine si leverà sulla polvere.
Dopo che questa mia pelle sarà distrutta, senza la mia carne vedrò Dio. Io stesso lo vedrò e i miei occhi lo contempleranno non da straniero” (Gb 19,25-27). Walter lo vede e noi lo vediamo nella sua fede, perché essa fu forte. Perciò, mentre per lui preghiamo, anche con lui vogliamo pregare, perché continui a fortificare, a sostenere, a incoraggiare e a sorreggere questa nostra fede, quella della sua sposa e dei suoi figlioli.
Fa’ sentire a noi, o amico, la tua presenza;
falla sentire come Gesù quando si è avvicinato ai due discepoli di Emmaus,
fa’ che sentiamo la tua parola confortatrice,
fa’ che sentiamo che tu stesso ci dai speranza e fiducia nella tua vicenda di dolore.
Fa’ che noi tutti sentiamo che, come i tuoi genitori ti hanno insegnato,
è l’amore che alla fine trionfa;
fa’ che noi crediamo che tutta la nostra giustizia
se sarà ispirata dall’amore e dal coraggio,
animata dalla solidarietà e dalla persuasione darà il suo frutto.
Che tutto questo ci porti ad una società più buona,
ad amarci, a capirci davvero.
Nel tuo nome, nel nome del tuo sacrificio, della sofferenza tua e dei tuoi più cari,
sarà più vicina la civiltà dell’amore.
Cronologia in breve