Come contributo alla riflessione, in queste settimane di tensioni e polemiche sul tema delle migrazioni, pubblichiamo un intervento che il cardinale Carlo Maria Martini tenne il 3 dicembre 1994 al convegno «Immigrati a Milano», promosso dalla Fondazione San Carlo della Caritas Ambro¬siana. Ci pare che, seppure a distanza di quasi 25 anni, il discorso del Cardinale contenga numerosi passaggi di estrema attualità e offra spunti per un approccio costruttivo e responsabile alla sfida epocale rappresentata dalle migrazioni. [Nella foto, gentilmente concessa dall’Archivio Storico Fondazione Corriere della Sera, Carlo Maria Martini, ai tempi dei suoi anni di studio a Roma, presta servizio a una mensa per i poveri]

 

Il fenomeno dell’immigrazione deve essere compreso sempre meglio come sfida che le nostre città, e ogni metropoli europea, hanno di fronte in tutta la sua evidenza e vastità. Non è possibile pensare a interventi semplicemente di natura assistenziale né tanto meno solo di contenimento; non è possibile continuare a proporre una visione del fenomeno immigratorio come problema e non anche come possibile risorsa.

La sua complessità esige una molteplicità di attenzioni, interpella anzitutto la società, ma pure la Chiesa, la sua dimensione pastorale, i suoi processi formativi, la sua missione evangelizzatrice.

Vanno superate le impressioni sommarie e superficiali rispetto al fenomeno immigratorio che, invece, va ormai considerato quale realtà “ordinaria”, non quale emergenza.

Ritengo quindi importante creare occasioni di studio su questo argomento in modo approfondito e lungimirante. Infatti, la mancanza di una comprensione sufficientemente articolata e seria del fenomeno immigratorio porta a una ricerca affannosa di soluzioni, priva di spazi necessari per riflettere e progettare, condannandosi così a riprodurre nuove gestioni, ma pur sempre di emergenza.

 

L’immigrazione oggi

Ogni Stato, europeo in particolare, ha nel suo passato, remoto o recente, una storia di immigrazione interna ed esterna. Proprio l’Italia è un esempio significativo di immigrazione interna, nei decenni che vanno dal 1930 al 1970 e, più indietro, di grandissimi flussi di migrazione verso l’estero. Secondo le statistiche, oltre ai cinque milioni di cittadini italiani tuttora residenti all’estero, ben sessanta milioni di persone, pur non avendo la cittadinanza, discendono da emigrati italiani.

Oggi l’immigrazione ha dunque le caratteristiche di un fenomeno planetario, anche per le condizioni di sottosviluppo in cui versa gran parte dell’umanità. Come ha ricordato Giovanni Paolo II: “Una volta si emigrava per cercare migliori condizioni di vita; da molti Paesi oggi si emigra semplicemente per sopravvivere”.[1] Inoltre, ai tradizionali movimenti dal Sud al Nord, si sono aggiunti nuovi esodi da Est a Ovest.

Si evidenzia, possiamo dire, la realtà dell’interdipendenza tra i popoli: “La pace e la prosperità, infatti, sono beni che appartengono a tutto il genere umano, sicché non è possibile goderne correttamente e durevolmente se esse vengono ottenute a danno di altri popoli e nazioni, violando i loro diritti o escludendoli dalle fonti del benessere”.[2]

Bisogna allora riconoscere che siamo di fronte a una situazione strutturale mondiale, che chiama in causa la comunità internazionale. Ecco perché l’immigrazione in casa nostra non è fenomeno marginale o di emergenza; è piuttosto occasione di riflessione, è segno che richiede una mentalità nuova, una disponibilità a guardare i problemi con uno sguardo ampio e consapevole.

 

Formazione professionale dell’immigrato

Alla nostra Fondazione S. Carlo abbiamo appunto chiesto di collocare la propria attività dentro l’orizzonte planetario. Non ignoriamo affatto gli abusi a cui dà luogo il fenomeno migratorio: pensiamo, ad esempio, a quello che i sociologi chiamano “immigrazione di assaggio”, proveniente soprattutto da alcuni Paesi vicini e pure dal Sud America, e che si caratterizza per la temporaneità e l’estrema mobilità sul territorio. Si tratta di espatrii motivati da illusioni di facile guadagno, dalla ricerca, comunque, di una rapida monetizzazione, risparmiando su tutto, approfittando di ogni occasione assistenziale, dedicandosi magari a espedienti e a traffici illegali.

Questo tipo di catena migratoria distorta, alimentata dalla grande facilità di movimento, sembra non interrompersi ed è incentivata da organizzazioni che illudono, truffano, commettono illegalità di ogni genere,

estorcono fortune a tali persone. E, per questo, da una parte si esige un controllo serio e chiaramente repressivo nei confronti di chi svolge traffico illegale; ma dall’altra si richiede una capacità di esplorare tutte le possibilità di un’accoglienza mirata che formi, qualifichi e prepari anche un rientro serio nel Paese di origine o un’integrazione sufficiente e dignitosa.

Siamo giunti al punto centrale della nostra riflessione: la formazione professionale dell’immigrato. Al riguardo, tutte le realtà di ispirazione laica o cristiana, impegnate nel campo della formazione professionale,  dovranno sentirsi coinvolte.

È il momento, infatti, di occuparsi attentamente dei problemi dell’inserimento e delle seconde generazioni, per non farsi trovare ancora una volta impreparati alle sfide di lungo periodo. Sembra che le energie sia pubbliche, sia private, e la capacità propositiva sociale, siano state spese soprattutto per la fase di prima accoglienza e, per di più, affrontata spesso in modo non programmato, sulla spinta dell’emergenza, in un’ottica solo di contenimento che ha prodotto notevoli squilibri sociali.

Noi crediamo che, pur se dovremo sempre far fronte all’emergenza, soltanto un’accoglienza che sviluppi la vera integrazione favorirà la capacità di governare socialmente la grande sfida posta dall’immigrazione. Questa è la ragione dei Centri di seconda accoglienza. Ponendosi l’obiettivo di accompagnare l’inserimento nel lavoro e la ricerca della casa, favorendo una prospettiva di scambio culturale e di confronto, creando uno spazio di comunicazione rivolto all’intera città, fanno prospettare in concreto la speranza e la possibilità che l’immigrato riesca a diventare una risorsa per tutti, non un problema da subire o magari da allontanare.

Si tratta per il momento di progetti sperimentali, che intendono stimolare chi si sta scoraggiando; si registrano infatti sintomi di una certa stanchezza nel volontariato, spesso abbandonato a se stesso nell’affrontare i problemi legati alla prima accoglienza e isolato di fronte a situazioni sempre più gravi. Questo isolamento non è giusto.

Non può dunque cessare l’azione politica in tale campo e, applicando e rinnovando lo sforzo legislativo, la comunità civile non deve temere di occuparsi degli immigrati. Se l’azione pubblica si ritrae, si finisce per incentivare la marginalizzazione dell’immigrato, considerandolo come un povero da affidare alle cure del volontariato e, talora, come un soggetto pericoloso per l’ordine pubblico. Si rischia così di favorire, a volte anche in modo strumentale, una mobilitazione popolare al rifiuto, anziché all’accoglienza.

D’altra parte la stessa Chiesa deve ripensare al suo impegno pastorale di fronte all’immigrazione.

Tra mille difficoltà umane e strutturali, spesso in assenza dell’impegno pubblico, gli operatori ecclesiali si sono mossi con grande generosità offrendo e favorendo migliaia di occasioni di lavoro, di alloggio, di formazione professionale, di festa, di incontro, di sensibilizzazione. Uguale attenzione si è avuta nelle comunità parrocchiali; ma non da parte di tutte c’è stato il medesimo impegno.

Sul piano pastorale, ora, si deve reagire con forza al compito esclusivamente volontario e prevalentemente di carattere assistenziale. Non va alimentata la mentalità che considera sempre e unicamente lo straniero come un “povero”, dimenticandosi della sua cultura, del fatto che anch’egli può sbagliare; inoltre, non si possono chiedere solo diritti, bensì è necessario rispettare i doveri.

Assistere, dunque, non è sufficiente, occorre un’azione globale per l’immigrazione. È indispensabile che le Istituzioni affrontino, programmino, coordinino politiche volte all’inserimento e all’integrazione; in tale impegno non dovrà mancare la collaborazione attiva del volontariato, ma ad esso non può essere delegato ciò che attiene a responsabilità più ampie.

 

Riflessioni conclusive

Sappiamo che il fenomeno migratorio è ben conosciuto nella storia della salvezza: “L’esperienza di una vita di stranieri, in esilio o comunque rifugiati in terra non propria, attraversa in profondità gli uomini e le donne delle Scritture, fino al Nuovo Testamento”.[3] I credenti, noi tutti, siamo un popolo in cammino verso nuovi cieli e terre nuove; per noi “Ogni terra straniera è patria e ogni patria è terra straniera”.[4]

Per questo la Chiesa avverte la tematica dell’accoglienza degli stranieri quale esperienza vicina alle proprie origini, quale occasione per rinnovare la nostra coscienza. Possiamo dunque affermare che l’immigrazione può essere una circostanza provvidenziale anche per l’Occidente, per impegnarsi in profondità. Occorre una disposizione del cuore e vedere – l’ho sottolineato altre volte – in tale fenomeno un appello a un mondo più fraterno e solidale, a un’integrazione multirazziale che sia segno e inizio della presenza di grazia di Dio in mezzo agli uomini.

L’immigrazione è davvero un’occasione storica per il futuro dell’Europa, occasione di bene o di male, a seconda di come la governeremo.

Il mio invito è di prendersi a cuore questa realtà non come un peso da sopportare, bensì quale grande appello della Provvidenza per un nuovo modo di vivere.

Ricordiamoci che, affrontando correttamente i problemi che quotidianamente vivono nel nostro Paese gli stranieri, contribuiremo alla soluzione di tanti problemi strutturali riguardanti pure gli italiani. Non si tratta di scatenare pericolose rivalità tra persone in stato di bisogno; si tratta piuttosto di affrontare globalmente i problemi posti sul piano sociale dall’immigrazione, con vantaggio per tutti, a partire dai più deboli e dai più sfortunati.

Concludo, permettendomi di sottolineare alcune problematiche forti.

Innanzi tutto quella giuridica. Le leggi esistenti devono certo essere applicate fino in fondo, in ogni loro aspetto. Se tuttavia come sembra essersi verificato, le norme, frutto di un’elaborazione svolta in un clima di concitata emergenza, risultano lacunose, a volte imprecise, e lasciano spazio ad abusi, allora è necessario porre mano con urgenza a una nuova legge organica sulla condizione giuridica dello straniero, che tenga conto del quadro reale del nostro Paese e non sia fatta sotto la spinta di emotività sociali o per finalità di carattere strumentale.

Inoltre, accanto a quella della casa e del lavoro, è decisiva la problematica della famiglia. I problemi della donna, dei minori, della coppia, appaiono, di fatto, sottovalutati. D’altra parte, poiché molti stranieri extracomunitari sono ormai lavoratori regolarmente occupati e residenti, va posta attenzione ai ricongiungimenti familiari, unitamente all’incontro e all’amicizia tra famiglie italiane ed estere. Il successo dell’integrazione degli immigrati stranieri nella nostra società si gioca proprio sulle seconde generazioni

Mi permetto dunque di invitare i pubblici poteri, gli operatori sociali, le comunità cristiane, il volontariato, a restare vigili su tutte le cause e le sempre nuove problematiche dell’immigrazione, a non farsi trovare impreparati e, di conseguenza, costretti all’improvvisazione e alla rincorsa affannosa delle continue emergenze.

Impariamo a governare pacificamente i conflitti, con senso di responsabilità e con amore del bene comune; cerchiamo di alzare lo sguardo e di guardare lontano; sforziamoci di lavorare insieme con lungimiranza; non temiamo di rischiare nell’iniziativa, consapevoli delle difficoltà ma insieme della grande occasione che stiamo vivendo.

 

[1] Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante, 1992.
[2] Id., Centesimus annus, n. 27.
[3] Commissione Cei per le migrazioni, 1993.
[4] Lettera a Diogneto.

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